Immaginate... (12)
12)
Violetta attese qualche giorno prima
di chiamare Francesca, dicendole che effettivamente lo stesso giorno della
telefonata le successe qualcosa di insolito. Concordarono di vedersi a casa sua
per conoscersi e parlare delle loro strane esperienze.
Francesca – buongiorno, grazie dell’invito (procedendo dal giardino verso l’entrata di casa passarono sotto i due “guardiani”: l’ulivo e il limone). Perbacco che begli alberi, l‘ulivo avrà più di cinquant’anni e il limone direi la metà; è sorprendente come si compenetrano, mai visto niente del genere, devi averci lavorato parecchio per un tale risultato.
Violetta – te ne intendi: quasi settanta l’ulivo, venticinque il limone ma salvo qualche intervento necessario non ho fatto altro; la storia di questo risultato merita di essere raccontata.
Mio marito Roberto un giorno arrivò a casa dicendomi che mentre camminava al mercato, per una spinta accidentale, gli si era impigliato il maglione di lana su una pianta di limone. Il commerciante, scusandosi poiché essendo l’ultima dell’esposizione (la più striminzita) l’aveva lasciata indietro in mezzo al passaggio, per perdere meno tempo stava già per tagliarne il ramo aggrovigliato. Roberto intervenne dicendo che con calma l’avrebbe districato lui, tra l’altro il ramo in attesa d’esser ghigliottinato era uno dei pochi con un po’ di vegetazione su quello scheletro d’albero, sicuramente rifiutato da tutti anche per la forma scomposta.
Alla fine l’ha comperato e
portato a casa… lui che mi raccomandava di moderarmi con gli acquisti di piante
che poi andavano irrigate.
Francesca – beh, per come è diventato aveva
visto giusto, davvero non li hai un po’ guidati
i due alberi?
Violetta – no, la forma sbilenca si adattava perfettamente e hanno trovato da soli il modo di coesistere dividendosi lo spazio.
La finestra che affaccia sul
limone è del piccolo studio dove Roberto man mano trascorreva sempre più tempo…
diceva che lì c’era sempre il sole, infatti il limone è della varietà quattro stagioni e non ricordo di averlo
mai visto del tutto senza frutti.
completata la visita del giardino entrarono in casa… e se i due alberi si ergevano a guardiani dell’esterno qui lo erano i quadri che tappezzavano tutte le pareti. L’impatto visivo del gran numero di opere (di tutte le dimensioni) fu tale che Francesca rimase per un po’ senza parole.
Francesca – adesso capisco cosa
intendeva Luigi - l’amico che mi ha parlato di te - per “devota alla geometria”,
secondo lui tutto inizia, si sviluppa e conclude in essa.
Violetta – dal solo nome non ricordo
la persona, ma se ti ha detto così di me ha colto il fondamento della mia
esistenza. In questa stanza sono passate moltissime persone assillate da
problemi di ogni tipo, ma quelle che hanno prestato attenzione ai miei disegni
sono davvero poche… sono contenta, oggi una in più! Che altro ha detto questo
Luigi?
Francesca – sei hai tempo te la
racconto, è una storia che parte da lontano… (cenno di assenso). Poiché ti piacciono alberi e giardini forse
conosci il posto dove abito, là si trova il pino domestico più vecchio di tutta
la zona e tra una ventina d’anni avrà due secoli.
Violetta – molti sanno di
quell’albero, ogni tanto Roberto me ne parlava e avrebbe desiderato vederlo.
Purtroppo sono piuttosto riservata, gli dicevo che non era il caso di
disturbare e di attendere il momento giusto... (gesto di sconforto)
Francesca – sì, tanti sanno del pino…
qualcuno anche delle voci al riguardo, tu sei tra questi?
Violetta – beh, qualcosa avevamo
sentito, giusto delle voci senza fondamento su presunte stranezze, ma Roberto
dopo l’acquisto del limone ne era più interessato. Finalmente saprò cosa c’è di
vero?
Francesca – la mia famiglia è
proprietaria del casale da cinque generazioni. C’è una specie di leggenda che
ci tramandiamo:
la moglie del mio trisnonno morì di parto dopo
aver dato alla luce due gemelli. Egli con l’aiuto dei familiari li crebbe ma,
pur facendosi forza, non riuscendo ad accettare il distacco dall’amata consorte
non fu capace di sostituire all’amore per essa quello per le due innocenti
creature. Il trauma dell’evento tra le altre cose gli impediva di dormire nella
loro camera e prese a vagare di notte per le colline, fin quando assalito dalla
stanchezza riusciva a prender sonno dove capitava, per ritornare a casa prima
dell’alba, passando prima per il cimitero per un saluto alla defunta. Il mai sopito dolore, il lavoro e il
peregrinare notturno lo stavano velocemente consumando, tanto più che usciva
con qualsiasi tempo, freddo o pioggia che fosse.
Fu appunto in una notte di pioggia che uno smottamento lo travolse facendolo precipitare in un canalone, in fondo al quale sarebbe stato sommerso dal fango… se un alberello non ne avesse arrestato la corsa. Fu ritrovato incosciente a giorno inoltrato da familiari e amici, allertati da un cacciatore che ne scorse il giaccone perso nella caduta. Riportato a casa dovettero necessariamente metterlo nel suo letto, dove gli ci volle una settimana per riprendersi. Ma non era più la stessa persona…
Ai gemelli (maschio e femmina di ormai due anni) fu permesso di incontrare il padre e tra lo stupore dei presenti l’uomo li abbracciò come mai riuscì a fare in precedenza, chiedendo in lacrime di perdonarlo. Smise di vagare la notte e rimaneva con i gemelli tutti i momenti liberi, continuando a dormire nella stanza coniugale. In capo a un mese riprese le forze di un tempo, addirittura ringiovanendo ma soprattutto prodigandosi per gli altri.
Si fece condurre nel canalone dove lo trovarono e discese con le corde sino al giovane pino che lo salvò; paurosamente inclinato e con gran parte delle radici scoperte, solo il profondo fittone (la continuazione sotterranea del tronco) ancora si opponeva al franare definitivamente.
Volle salvarlo a tutti i
costi e per dargli la possibilità di crescere in altezza fu scavato il terreno
in profondità, per estrarne il fittone senza danneggiarlo, preservando del
tutto anche le radici orizzontali. Fu un lavoro straordinariamente difficile a
cui si aggiunse il trasporto sino alla sua casa, dove l’avrebbe collocato.
Nel terreno prospiciente il casale fu preparata una enorme buca, ma con gran stupore dei presenti disse che avrebbe provveduto da solo “quando fosse stato il momento”, senza spiegarne le ragioni. Qui comincia la vera leggenda… pare che il mio trisnonno, intanto che il pino attendeva coricato e con le radici protette, riprese le uscite notturne, tuttavia solo per poche ore. Qualche tempo dopo, al mattino, tutti guardarono meravigliati il pino finalmente posto a dimora. Aveva fatto tutto da solo in una notte.
Violetta – perbacco, che
determinazione… in tal modo saldò il debito di riconoscenza, il pino ripagò lui
e i discendenti con una buona produzione di pinoli, come ho sentito.
Francesca - hai sentito bene, i nostri pinoli sono speciali. Dicevo che con la piantumazione del pino domestico comincia la leggenda… vuoi conoscere la fine?
Violetta – ah, pensavo fosse quella…
che altro accadde?
Francesca – in quel momento
nient’altro ma cinquant’anni dopo, alla morte del trisnonno, dopo avere ingrandita
la tomba di famiglia, fu estratta la bara della moglie per porla accanto al
marito nella nuova sede. Al coperchio del feretro mancavano molti chiodi e
presentava segni di scasso… ma i gemelli vollero che fosse immediatamente
collocata senza toccarla.
Violetta – difficile da credere che…
Francesca – infatti è una leggenda… ma una verità per pochi intimi. Te ne ho fatto partecipe perché so che lo terrai per te.
C’è ancora dell’altro che non posso condividere: il mio trisnonno lasciò una lettera per i gemelli (il maschio era il mio bisnonno) che a loro volta passarono al nonno e, vent’anni fa, alla morte di mio padre arrivò a me. Ognuno aggiunse qualcosa… come sento che farò anch’io se – non avendo figli – potrò fidarmi del prossimo “custode” del pino.
Violetta – pare che il pino sia il
fulcro di tutto…
Francesca – non pare, lo è.Tutti i
giorni mi siedo sotto la sua ombra o ci cammino intorno… se non posso o sono
altrove non dimentico di pensarlo, poiché attraverso di esso mi sento collegata
alle mie radici, trovando la forza per accettare il mio destino e quello dei miei
cari. Mio marito è morto due anni fa in un incidente sul lavoro, conosceva la
leggenda e anch’egli amava quell’albero, lo accarezzava persino. Come faccio io
e come a tuo modo penso fai anche tu con i tuoi due magnifici alberi, vero?
Violetta – (con un velo di commozione negli occhi) il modo non può che essere
quello di toccarli, sapendo e sentendo attraverso la carezza che non è
solo la memoria a trasmettere qualcosa. Che notevole coincidenza nei nostri
destini!
Francesca – davvero! Senti com’è
accaduto che ti ho cercata: il mese scorso dopo un po’ di riposo sotto il pino,
al rientrare in casa mi sono detta: fatti
aiutare. Il buffo è
che non avevo alcun pensiero in testa, men che meno quello di chiedere un
aiuto, riguardo a cosa, poi? Mi pareva di aver dimenticato del tutto la cosa
senonché, trovandomi a passare nelle vicinanze della casa di Luigi mi è tornato
in mente… fatalità era nel giardino e riconosciuta l’auto mi ha salutato con la
mano.
Mi sono fermata e ci siamo messi a
parlare del più e del meno, sino a quando gli ho raccontato l’episodio dell’aiuto. Di colpo ha cambiato
espressione e bofonchiando un ”ecco chi” mi
ha invitato a entrare in casa. Ci siamo seduti attorno a un tavolo dove ha
dispiegato una vecchia dettagliata mappa locale. Ha fatto un cerchietto a matita
sulla sua posizione e chiesto a me di farlo – con la massima precisione - su
casa mia.
Ha unito i due punti con un segmento e dopo averlo misurato scrupolosamente, ha disegnato alla destra e sinistra dello stesso due identici triangoli equilateri (con il segmento in comune) di colori diversi. Gli ho chiesto cosa significasse e mi ha indicato il vertice di quello rosso a sinistra che cadeva in mare, dicendo che fosse la risposta negativa. Invece il vertice di quello nero sulla destra, coincideva con una casa situata in una stretta strada.
Luigi affermò che vi
abitasse la persona che mi avrebbe aiutato. “La conosco – disse dopo averla localizzata –
non poteva che essere lei!”. Tu,
Violetta.
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