L'occhio di vrana - 5° capitolo: l'altro vento
Mario e la moglie decisero per una pizza a pranzo. Il posto
giusto è un locale aperto da pochi anni a Osor, quasi a ridosso del massiccio
campanile, vicino a dov'era il bar pasticceria dei macedoni.
Una terrazza all'aperto tra muri di pietra e una vite che
ombreggia quel che può, collaborando con i bianchi ombrelloni. Manca solo un
po' di movimento d'aria, ma non si può aver tutto. La pizza è enorme e ben
cotta. Col celebre formaggio dell'isola di Pag e l'insalata vi servono pure dei
panini appena fatti con la stessa pasta della pizza. Da portarseli a casa, se
non ce la fate.
Anche il caffè non è male, e il conto più che onesto.
Usciti di là, satolli, cercano un posto all'ombra e
arieggiato.
La cittadina merita una visita. Nel tempo i restauri l'hanno
ricomposta in un insieme armonico e resta poco da sistemare. Alcune strette
viuzze sono accompagnate per tutta la loro lunghezza da piante fiorite di ogni
sorta. La grande piazza, occupata per metà dall'imponente cisterna interrata
usata in passato per raccogliere l'acqua piovana, ospita gli alberi più grandi
e vecchi. Sono quattro tigli posti ai
vertici della stessa. Un tempo le loro chiome si congiungevano a coprire per
gran parte lo spazio. Poi sono stati potati a causa di malattie che li hanno
colpiti.
Ma anche per loro la vera malattia è la vecchiaia; comunque
tirano avanti, rispettati e amati.
Le costruzioni della cittadina risalgono le poche decine di
metri del costone che la separa dal mare. Ci si arriva con un sentiero in
pietra ben rifatto, ammirando al contempo la grande baia.
A due terzi della quale hanno posizionato di recente tre
enormi recinti circolari, circa venti metri di diametro, ancorati al fondo del
mare. Il pesce non è mai mancato nell'isola, ma allevarlo permette migliori
margini di guadagno e minor fatica.
Mario e la compagna conoscono ogni vicolo della cittadina e
si sarebbero avviati verso quel sentiero, per sedersi sulla panchina che guarda
sul canale e il suo ponte girevole, un gran bel posto panoramico e fresco.
Senonché fatti appena una decina di metri e imboccato il vialetto con la chiesa
a sinistra e il campanile sulla destra, si accorgono di aver già trovato quanto
cercavano.
Ombra e vento. E gli ampi gradoni alla base del campanile,
dove sedersi.
La vista è alquanto sacrificata, avendo di fronte a due metri
il muro della chiesa, anch'esso come il campanile e la maggior parte delle
costruzioni edificato con materiali locali, la pietra d'Istria, l'umile e
meravigliosa pietra bianca cui anche Venezia deve il suo splendore e luminosità.
Si può guardare in alto, stupendosi una volta di più della
sensazione di solidità e leggerezza che quelle architetture essenziali sanno
infondere. Oppure a sinistra verso la strada e l'ovest senza barriere, o a
destra dove il piccolo vialetto dopo essersi allargato in una deliziosa
piazzetta alberata termina bruscamente di fronte al muro dell'antico municipio.
Il vento che si incanala da sinistra non ci mette molto a
rinfrescarli, favorendo la digestione.
Strano quel vento. Proseguendo la sua corsa fino al termine
del vialetto, non sfoga né a sinistra, sulla piazza, né a destra sull'altro
vialetto. Ci sono alberature e stendardi in entrambi i sensi le cui fronde e
tessuti rimangono immobili. Pure il vento è ben teso, almeno di rimbalzo
dovrebbe arrivarci. Possibile che tutta quell'aria pieghi completamente a 90
gradi per dirigersi verso l'alto, senza interessare, almeno producendo delle
depressioni, quanto si trova ai lati?
Come abbiamo già detto sono decenni che Mario frequenta questi
luoghi, ma questa è la prima volta che si accorge dello strano comportamento
del vento, apparentemente insignificante.
I numerosi turisti che passano di là dedicano giusto un po'
di tempo per una foto accanto alla bronzea statua della piazzetta, figurarsi
fermarsi nell'angusto vialetto a guardare il muro di fronte.
Ma sedendosi su quei gradoni il muro assorbe la vista e la
sua agitazione. Solo dopo vi accorgete del vento, prima non ci fate
molto caso, al massimo lo considerate aria mossa che rinfresca.
Gli addetti ai lavori ritengono di conoscere molte cose sul
vento. La sua genesi e le caratteristiche legate alla direzione di provenienza.
Tuttavia i fattori in gioco sono così tanti da rendere impossibile una
previsione. Per la pioggia o il sole ci riescono con discreta precisione, ma
col vento non c'è nulla da fare. Chi può dire quando arriverà o quando
smetterà? Al massimo viene indicato un quadrante di provenienza e una
probabile intensità. Il vento a suo modo è vivo, e come tutte le cose
vive ha i suoi segreti. Chi va per mare usando le vele sviluppa una sensibilità
nei suoi riguardi, all'inizio osservando le increspature che produce sul mare,
ma rimanendo a quelle non si spiegherebbe la differenza tra un velista che
l'azzecca e i pochi che vanno dove non c'è nulla e poi arriva il vento, anche
se non sempre.
Se pensate che il vento sia solo aria mossa potete
usarlo per ricavare energia, per navigare e per molti altri scopi, come si
usano quasi tutte le cose di questo mondo.
Ma è solo quando si smette di servirsene che si comincia a
sentire.
Il vento soffia
dove vuole e tu ne odi la voce, ma non sai donde venga né dove vada...
Quell'anno dovettero proprio rinunciarvi. Enzo non se lo
poteva più permettere, anche se il denaro che serviva per la solita settimana
di vacanza nell'isola non era molto.
Purtroppo la loro situazione economica era in caduta libera
da un pezzo e non c'erano segni di miglioramento, piuttosto il contrario.
Enzo e Marta avevano una quarantina d'anni, da giovani si
conobbero nel tranquillo campeggio di Osor, affacciato sul mare e ricoperto da
una pineta. Avvertirono subito che non sarebbe stata solo una storia, bensì la
loro storia. Formarono una famiglia e arrivò di una figlia ora tredicenne e
un maschio di sette, che una diagnosi definì autistico. Fosse dipeso in parte
dal difficile travaglio che potrebbe avergli procurato un deficit di ossigeno
al cervello, una causa genetica o dal mercurio contenuto nei vaccini non cambia
il risultato: forte diminuzione dell'integrazione sociale e della
comunicazione, necessità di attenzione e cure continue. Se decenni addietro
veniva interessato un bambino ogni quattromila oggi riguarda uno ogni cento, un
tale spaventoso incremento viene considerato non da pochi un'epidemia, che come
tale non può avere cause genetiche.
Purtroppo se ne parla poco, mentre è una vera emergenza che
interessa un'intera generazione.
Con molti sacrifici mandarono avanti la piccola attività
imprenditoriale del padre di lui, dopo la prematura scomparsa a cui seguì per
il dispiacere quella della moglie. Lavorando senza guardare mai l'orologio né
il calendario riuscirono ad ampliarla fino ad assumere una decina di
dipendenti. Producevano serramenti in alluminio e nonostante la concorrenza
crescesse costantemente, l'abilità di Marta nel procurarsi nuove commesse li
manteneva a galla. Perché quello era lo stato delle cose, galleggiare. Pur
possedendo una bella villetta, il capannone dell'azienda, alcune auto e un
grande camper erano appesi a un filo. All'altro capo c'era la banca e la sua
reticenza ad aumentare il fido per coprire pagamenti che tardavano ad arrivare,
se mai sarebbero arrivati. È la storia degli ultimi anni, che ha falciato
innumerevoli piccoli imprenditori messi in difficoltà dalla concorrenza al
ribasso e dai ritardi crescenti nel saldare il loro lavoro. Prima era questione
di un mese, due al massimo. Poi tre, sei... sino ad arrivare a un anno e più,
sovente da parte di enti pubblici.
Alle banche non interessa, guardano al loro profitto, non
contano più i rapporti, gli uomini e i progetti, le idee valide e una storia
alle spalle.
Conta mettere del denaro e dare delle garanzie, chi non ce la
fa non ha scampo.
Tutto ciò è terribilmente sbagliato e meriterebbe un deciso
intervento dello Stato a salvaguardia di una delle categorie che tiene in piedi
la baracca, dando da lavorare a tante persone... senza attendere che per disperazione
ci scappi il morto, come la cronaca spesso riporta.
Solo perché aiutati dai genitori di lei, che davano una mano
in azienda e nella cura dei nipoti, ancora tenevano duro, nonostante
lavorassero sempre di più e ricavassero sempre meno.
Poi arrivò la crisi e cominciò a mancare il lavoro. Come
altri nelle loro condizioni speravano che si allentasse, ma andava sempre
peggio, dovettero ipotecare il capannone e licenziare metà del personale,
facendo lavorare a turno il rimanente.
Sino all'anno prima avevano mantenuto la promessa che si
erano fatti di passare almeno una settimana d'estate nel luogo del loro
incontro. Divenne l'unica vacanza, il solo momento in cui tuffarsi in acqua
sperando di riemergere in un mondo diverso.
Acquistarono il grande camper non per esibire alcunché, ma
per dare la possibilità al figlio di stare di fronte al mare che adorava, in un
mezzo con tutti i servizi di cui necessitava.
Col tempo i risparmi furono sostituiti dai debiti e ormai
rimanevano loro poche cose; tra la casa dove vivevano 51 settimane l'anno e il
camper dove ne passavano una scegliettero giocoforza quest'ultimo.
Il denaro ricavato permise di respirare ma si ritrovarono con
una ferita in più: la figlia non attendeva che quella vacanza per sognare un
po', ritrovando gli amici che si era fatta nel campeggio.
Elia, il figlio, rimase imperturbabile e se provò qualcosa lo
trasformò in un sorriso verso la sua famiglia. Incredibilmente veniva da lui il
conforto più grande.
Il colpo fu tremendo; il camper e la settimana di vacanza
oltre al valore simbolico per loro due, allo svago per la figlia e l'aria buona
per Elia era l'unica occasione per allontanarsi da dove vivevano.
I problemi se li portavano dietro ma almeno non avevano
davanti agli occhi il capannone sempre più vuoto e lo sguardo sgomento e
preoccupato dei loro dipendenti.
Uniti all'angoscia dei loro familiari che vedevano
avvicinarsi inesorabilmente il baratro del fallimento definitivo.
Quando in passato ci furono delle difficoltà Enzo reagiva
impegnandosi ancor più, lavorando sino a non reggersi più in piedi. Marta
comprendeva come quello fosse l'unico modo che aveva per conservare
l'equilibrio e badava ai figli e alla casa, dando una mano in ogni momento
libero.
Adesso che il lavoro era poco non rimaneva che stare
attaccati al telefono contattando vecchi clienti, accettando un esiguo margine
di guadagno per una commessa anche di pochi pezzi.
Prima di produrre occorre regolare e calibrare le macchine,
procurarsi e controllare il materiale, calcolare gli sprechi e i tempi.
Attività e tempo che non viene messo in conto e che si ripaga con la quantità
dei pezzi prodotti. Se sono pochi, proprio sul più bello quando le macchine
finalmente girano con un ritmo costante, è già finito. Occorre rifare tutto
daccapo per una nuova produzione.
È uno stress enorme, come se un ambulante dovesse aprire e
chiudere bancarella e ombrellone non una ma cinque volte al giorno, esponendo e
riponendo in continuazione la merce senza poter prendere fiato. Ma almeno si è
attivi, l'impegno e la fatica sottraggono energie al cervello che le userebbe
per disperarsi.
La situazione diventa insostenibile quando la commessa viene
richiesta oggi per domani, già con il prezzo fatto e senza possibilità di
trattativa, prendere o lasciare.
Non c'è più magazzino in tempo di crisi, si produce se c'è
richiesta e la spunta chi lo fa prima.
Mario conosceva quella famiglia e quando l'anno prima non li
rivide venne a sapere del fallimento della loro attività. Vendettero quel poco
che possedevano e assieme ai suoceri se ne andarono da dove avevano sempre
vissuto, senza dire a nessuno in quale luogo. Una telefonata dopo qualche mese
rassicurò che non successe una disgrazia, ma non fornì alcun dettaglio, neppure
un indirizzo o un numero di telefono. Avevano del tutto reciso i ponti
sottraendo alla curiosità, morbosa o compassionevole, il loro destino. Tra le
ipotesi per un tale comportamento prevalse quella che vedeva l'intera famiglia
costretta a vivere delle pensioni dei genitori, procurando loro un senso di
vergogna e inutilità che li spinse a cercare un posto dove non li conoscesse
nessuno. Se ci fosse del vero non
riusciva a spiegare il modo in cui si allontanarono: più che persone
schiacciate dagli eventi e dalla cattiva sorte sembrava partissero per una vacanza,
tanto che chi li vide si domandò se ci fossero ancora con la testa.
Il capannone fu mangiato dai debiti che finirono di pranzare
anche con buona parte del ricavato della vendita della casa, seguita da tutto
quel che avevano: le tre grosse auto, i mobili, dei quadri, la collezione di
radio d'epoca del suocero e anche piccole cose, come il trattorino per tagliare
l'erba. Girò la voce che dovevano saldare degli usurai prima di potersi
trasferire; fosse o no la verità almeno spinse qualcuno a non tirare troppo sul
prezzo, come un funzionario della banca che acquistò la più bella delle loro
auto, sentendosi in pace con la coscienza.
Comperarono per poco due utilitarie usate e nessuno più vide
e seppe qualcosa di quelle sei persone.
In quel campeggio anche Mario soggiornò per un paio d'anni,
quand'era giovane e la schiena ancora sopportava la vita spartana in una tenda.
Costretto ad abbandonare una tale sistemazione non rinunciò a passeggiare in
quel posto cui rimase affezionato, dove un'estate incontrò e fece due
chiacchiere con Enzo. Non una vera amicizia, piuttosto una simpatia che si
esauriva con un saluto e qualche scambio di impressioni. Ci rimase davvero male
per quello che successe. Tanto da non aver più voglia di fare la solita
passeggiata, per non passare davanti alla piazzola giusto di fronte al mare
dove erano soliti posteggiare. Ma non volendo rinunciare a un'abitudine decise
per una via di mezzo: fermarsi prima di poter vedere la piazzola e dare solo
un'occhiata agli scogli piatti dov'era incastonato il piccolo faro – meno di
due metri di altezza – che segnalava la baia.
Quei comodi scogli erano il posto preferito di Elia, dove
rimaneva a lungo a giocare – se giocava – col niente dell'acqua tra le
dita, contemplando ogni tanto – se contemplava – alla sua sinistra il
monte più alto dell'isola, il Televrin. Come viva e cosa provi un bimbo
autistico lo sa solo chi trascorre il suo tempo con lui; persone che per cause
diverse sono precluse alla vita di relazione come noi l'intendiamo, ma non alla
vita nella sua interezza. Come noi hanno la loro tavolozza emotiva, solo con
colori diversi dai nostri, e come noi anche tra loro si differenziano.
Appena Mario posò lo sguardo sugli scogli gli parve di vedere
un bambino con accanto la madre. Sembravano proprio Marta ed Elia! Emozionato
allungò il passo e vide la piazzola dov'era parcheggiata una piccola
roulotte... ma certo, il camper l'avevano venduto, poteva essere la loro! Non
entreremo nei particolari di un incontro che rivelò a Mario come quella simpatia
che si esauriva con un saluto era ben più di quanto credeva. Stavolta si
sedette e trascorse alcune ore con loro, fu uno dei pochi a cui raccontarono
quello che accadde.
Il denaro del camper durò poco e si avvicinava un'importante
scadenza. Enzo aveva un disperato bisogno di denaro e dovette recarsi nella sua
banca per chiedere un altro prestito.
Per la negativa risposta usarono il solito modo ipocrita come
si usa in questi casi, badando a che la forma nasconda il luccichio del
coltello che ti trafigge...
“Siamo dispiaciuti di doverLa informare che purtroppo la
Direzione non ha la possibilità di accordarLe un altro prestito, avendo già
prorogato, per ben tre volte contro i nostri interessi, la scadenza di quello
in essere..
La crisi investe anche noi costringendoci a rientrare
delle somme prestate. Conosciamo la Sua situazione, è un terribile momento...
ma dobbiamo render conto ai soci, far quadrare il bilancio e rispettare gli
obiettivi. Tutti speriamo in una ripresa che alcuni già intravedono... proprio per
cercare di venirLe incontro... ci dia almeno delle garanzie, ci potremmo
accordare su tempi più lunghi...”
Uscì dall'ufficio senza dir nulla, neppure salutando. Le garanzie
erano l'ultima cosa che ancora aveva la sua famiglia: la bella casa, frutto dei
sacrifici di anni. Già il capannone dell'azienda era ipotecato e dei
macchinari, avendo la fortuna di venderli, ormai non avrebbe realizzato che un
decimo del loro valore pur essendo recenti. Non solo con la banca, avevano
debiti anche con fornitori e negozianti. I pochi operai rimasti attendevano
ancora mesi di arretrati e quelli già licenziati la liquidazione. Mettere la
firma su un'altra ipoteca era chiedere di fumare l'ultima sigaretta concessa al
condannato.
Era la fine, non poteva farlo... non restavano che due
strade, ugualmente senza ritorno.
Una portava agli usurai e l'altra... a uscire dalla scena
permettendo alla sua famiglia di cavarsela, sfruttando l'assicurazione sulla
vita che stipulò quando le cose andavano bene.
Era da tempo che ci pensava e sapeva che doveva apparire un
incidente.
Sicuramente avrebbe usato l'auto – la velocità non lascia
scampo – conducendola sugli stretti tornanti delle montagne vicine, sino a un
punto dove avrebbe frenato per lasciare un segno sull'asfalto ma non abbastanza
per non precipitare...
Se c'era una cosa che non avrebbe mai fatto era volare, ma
almeno alla fine voleva affrontare questa sua paura.
Marta sapeva leggere nel cuore del marito altrettanto bene
che in quello dei suoi figli.
Non si faceva illusioni, immaginando la risposta negativa
della banca.
Aveva intravisto nello sguardo di Enzo un'ombra, come si
stesse preparando al peggio, e intuì che c'entrava l'assicurazione. Ma aveva
deciso di attendere sino al suo ritorno per affrontare direttamente
l'argomento, paventando un altrettanto gesto sconsiderato se lui avesse messo
in atto il suo proposito. Non era più tempo di mezze misure, c'era in ballo
tutto, il futuro e la vita stessa.
Aveva la certezza che Enzo non avrebbe messo in atto il suo
piano prima di aver salutato tutti loro, senza darlo a vedere. Era angosciata
come mai in vita sua, per fortuna la figlia era fuori con i nonni ed Elia non
sembrava turbato dal suo stato emotivo.
Anzi, pareva più interessato del solito a uscire nel
giardino, forse dovuto all'interesse per la grande e leggera palla di plastica
che il vento aveva fatto rotolare.
Dirigendosi verso la porta passarono davanti alla libreria
del salone dove stranamente Elia cercò di prendere un libro. Provando ad
assecondarlo Marta notò che un altro libro giaceva per terra accanto al
tavolino, forse l'aveva sfogliato il marito la sera prima, quando tardò ad
andare a letto.
Lo prese in mano e provò una stretta... un Vangelo! Si impedì
di pensare quale stato d'animo lo spinse verso quel libro, visto che non era il
suo genere di letture, lo tenne e uscì con il figlio.
Era estate e il giardino, nonostante le cure lasciassero
ultimamente a desiderare era uno splendore... o forse proprio per quello. Le
diverse essenze non irregimentate si erano fuse assieme e le rose non
prevalevano, catturando l'attenzione più che saturandola.
Si sedettero sull'erba ed Elia prese a parlare fra sé, come
sovente accade ai bimbi come lui.
Marta fece per aprire il Vangelo ma lo ripose quasi subito
per terra, tra lei e suo figlio; non cercava conforto e si domandava perché
l'avesse portato.
Si mise a guardare il giardino senza pensare a nulla, da
tempo le preoccupazioni le impedivano di goderne come in passato, ma stavolta
riprovò la sensazione vitale che fiori e alberi emanano.
In quel momento sentì Elia ripetere in continuazione: “soffia
il vento, soffia il vento...” - una ecolalia differita, ripetizione
a distanza di tempo di frasi sentite pronunciare.
Non usava spesso il linguaggio e fu sorpresa, ma lo fu ancor
più quando un singolo colpo di vento li investì con una forza tale da aprire il
libro e scompigliare vesti e capelli. Erano di fronte alla villetta e il vento
venne da quella direzione... non era spiegabile a meno di uno spostamento
d'aria dovuto a qualche aereo o cose simili. Ancor più strano che Elia l'avesse
quasi annunciato, anche se talvolta diceva o faceva cose apparentemente senza
un senso immediato, salvo riscontrarlo a distanza di tempo. Uno dei
misteri legato alla loro condizione, come l'abilità con i numeri o la capacità
di riprodurre fedelmente un'immagine appena intravista.
Dette un'occhiata al libro aperto e lesse: “... a chi ha
verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha verrà tolto anche quello che
ha...”
Ci pensò un attimo e la trovò una frase tremenda, soprattutto
perché si adattava perfettamente alla loro condizione. Con un leggero brivido
lo richiuse appoggiandolo dov'era in precedenza.
Adesso del giardino percepiva la transitorietà, anche quello
gli sarebbe stato portato via.
Stava quasi per maledire l'ingiustizia del mondo quando sentì
Elia ripetere nuovamente la stessa frase: “soffia il vento, soffia il
vento...” e un secondo identico colpo di vento ottenne lo stesso risultato,
far aprire nuovamente il libro e scomporre vesti e capelli.
Se il bambino non si fosse messo stranamente a ridere forse
avrebbe ceduto al panico. Da tempo teneva a bada i propri nervi e se ci si
mettevano anche fenomeni inspiegabili saltavano di sicuro.
Profondamente turbata decise di rientrare.
Riprese il libro e quasi gli cedettero le gambe... era ancora
la stessa pagina.
Si sa che la maggior parte dei bimbi autistici evitano lo
sguardo diretto, anche se lo si può interpretare come il loro modo di
guardare, indirettamente. Ma per un breve tempo che parve un'eternità Elia
fisso la madre come mai fece, e lei sentì che in quello sguardo e quanto
accadde c'era la risposta che cercava, portata dal vento.
Si tenne stretta a quella sensazione per tutto il giorno.
Passò il pomeriggio e venne sera, ritornarono i nonni con la figlia a cui
affidò Elia e andò in camera.
Si mise sul letto e dentro di sé si domandò: “Cosa devo
fare...”
La sensazione se ne andò lasciando la risposta nella sua
mente. E tutto fu chiaro.
Marta: «Sei finalmente a casa, Enzo. Non ci vuol molto
a capire che non c'è stato nulla da fare col direttore, in caso contrario mi
avresti telefonato.» Enzo: «Sì, le cose stanno come dici tu... ma
abbiamo una possibilità, ho conosciuto una persona interessata a rilevare la
nostra azienda, affidandoci la gestione e...»
- «No, non mi interessa più l'azienda, la gestione, la casa e tutto
quello che ci lega a questo posto, abbiamo già dato troppo per tenere in piedi
la speranza che le cose possano migliorare.»
- «Ma cosa dici? Che significa?»
- «Dico che me ne vado, con tutta la mia famiglia o con i miei figli o
anche da sola... ma è sicuro che vado via da qui!» - «Non è possibile! Dove potremmo andare... e
come vivremo?» - «Se il tuo interesse è
vivere allora verrai con me... perché dovrebbe preoccuparti come? Sicuramente
in un modo diverso e senz'altro più umano di questo, strozzati giorno dopo
giorno dai debiti e dissanguati dai vampiri della banca.» - «Come ti è venuta in mente una cosa del
genere?» - «Quando avremo venduto tutto
e saremo lontani da qui te lo dirò, non prima.»
- «Ma almeno discutiamone... » -
«Tu pensavi di discuterne con me... prima di andare da quella persona che vuole
la nostra azienda?» - Enzo abbassò gli
occhi, si tenne le mani al volto e finalmente pianse.
Marta gli mise un braccio al collo e gli sussurrò
all'orecchio: «Vedrai che tutto andrà bene... e l'anno prossimo torneremo nella
nostra isola, ne sono sicura!»
Mario era sbalordito, per il racconto e perché avevano messo
nelle sue mani la storia privata della loro vita, dopo che lui li
informò di dedicarsi alla scrittura. Ma non dovette preoccuparsi di come
chiedere il permesso di usarla, ovviamente dopo aver modificato nomi, luoghi e
circostanze. Marta lo precedette e terminò il racconto.
Marta: «Quando chiesi cosa fare sentii la tensione
sciogliersi, e apparvero ancora quelle parole... “a chi ha verrà dato e sarà
nell’abbondanza; ma a chi non ha verrà tolto anche quello che ha.”
Lì c'era la risposta, talmente evidente da non riuscire a
vederla. Noi eravamo in quella condizione, ci rimaneva poco e ci stavano
spogliando anche di quello. Ma se avevamo poco dove eravamo... da qualche altra
parte quel poco sarebbe stato molto più di quanto avevano altri.
Io ho studiato un po' di economia e dopo ho capito che quella
frase rappresenta anche una legge economica. Più il capitale è elevato e meno
hai da temere, sai come si dice... se la banca ti presta centomila euro e non
puoi restituirli hai un problema, ma se ti presta cento milioni è lei che ha un
problema. Ovviamente non è semplice convincerla, ma qualcuno ogni tanto ci
riesce. Noi non abbiamo un talento del genere e dovevamo arrangiarci da soli.
Con quello che abbiamo realizzato dalla vendita di quanto ci rimaneva, pagato i
debiti, affittammo un casale alla periferia di un bel paese appenninico. Dove
abbiamo stabilito la residenza e mandato mia figlia a scuola, nonché ottenuto
in breve tempo i permessi per riadattare ad agriturismo parte della grande casa.
Teniamo aperto solo il sabato, domenica e le festività. Gli
altri giorni mi dedico all'associazione che ho fondato per dare un aiuto alle
famiglie con bambini come il mio.
Le capacità tecniche di mio marito, alla fine di nessuna
utilità dove vivevamo prima, qui sono apprezzate al punto che potremmo vivere
quasi solo di quello.
I miei genitori credono che sia accaduto un miracolo che ci
ha salvato. Anch'io ovviamente penso a qualcosa del genere ma non avendo
un'attitudine religiosa la domanda resta in sospeso... anche se due isolati,
inspiegabili colpi di vento che aprono per due volte la stessa pagina di un
libro, allo stesso tempo che un bimbo l'annuncia sono una incredibile
coincidenza.»
Mario: «Come ottenere una serie di doppi sei tirando i
dadi... non credo sia solo coincidenza.»
Marta: «Che altro potrebbe essere, secondo te?»
Mario: «La lotteria, ma non quella che tutti conoscono...
dopo vi chiarirò cosa intendo.»
Le due storie all'inizio del capitolo hanno qualcos'altro in
comune oltre alla situazione disperata e senza scampo, l'imminente fine e
l'inutilità di qualunque azione.
Entrambe finiscono dopo un volo; per un breve tempo l'aria
venne attraversata dalla macchina ormai incapace di sostenersi e dal corpo
inadatto a volare. Innumerevoli individui sono morti in circostanze più o meno
simili, liberando nel vento da loro stessi creato le ultime emozioni.
Sarebbe potuta finire così anche per Enzo se qualcosa non
avesse deciso che era tempo di intervenire per equilibrare la situazione.
Si accomodò nel vento al di sopra di quella casa e usandone
la stessa energia ne deviò per due volte la traiettoria, costringendolo a
scendere quasi a perpendicolo, come fosse stato la bora, il vento
dell'isola.
Commenti
Posta un commento