6) - Al di là dell'aldilà
Un
antico proverbio arabo recita: L'uomo ha paura del tempo, ma il tempo ha paura delle piramidi.
L’odierna facilità di registrazione di ogni sorta di dati
(convertiti digitalmente e salvaguardati con backup puntuali e ricorrenti) ci fa
dimenticare che la durata dei supporti informatici di vario tipo è di gran
lunga inferiore a quella di un libro di buona carta (se ben conservato).
Ma qual che sia la modalità, dalle incisioni su pietra alla
conversione digitale, uno (se non il maggiore) dei tratti caratteristici della
specie umana è l’elaborazione, trascrizione e conservazione dell’informazione.
Gli esseri umani si formano, nascono, vivono e muoiono
all’interno di una “bolla di informazioni”.
Tutti gli oggetti prodotti, le architetture e ogni forma
d’arte sono cristallizzazioni statiche o dinamiche di flussi di informazioni,
al pari delle parole o degli antichi geroglifici che ci riportano a millenni
addietro, “istruendoci” sugli aspetti della vita a quei tempi.
Il pensiero stesso è un flusso di informazioni e ancor prima
di venir espresse a parole, lo sono ogni sorta di emozioni, sentimenti e altri
particolari “eventi”, per esempio le premonizioni.
Il nostro organismo dopo una fase di “addestramento” arriva a
disporre di un efficiente “lettore” delle informazioni, a sua volta capace di
produrle, in varie forme, come avviene nel mondo dell’informatica… disciplina
esplicitamente basata sulle stesse.
Come esistevano le informazioni prima, verosimilmente
esisteranno dopo l’inevitabile declino degli apparati organici che supportano
il nostro lettore, per malattia,
incidente o morte.
Senza il “lettore” sarà inutile il recapito del quotidiano preferito davanti alla nostra
tomba, loculo o urna cineraria… e senza il quotidiano
(l’informazione di qualunque tipo) è inutile il lettore…
L’interdipendenza lettore-informazione sottende a ulteriori
scopi, oltre a poter essere di per sé uno degli obiettivi della creazione?
Penso sia indubbio lo sviluppo della coppia magica (lettore-informazione) nella storia umana, tuttavia sempre
all’interno della “bolla” di informazioni nella quale nasce, matura e muore il
nostro lettore, dopo aver impresso, più o meno profondamente, la sua peculiare
impronta.
Le informazioni agiscono sul lettore tanto quanto
quest’ultimo interviene sul loro flusso.
Se stiamo guardando un film difficilmente rivolgiamo la nostra
attenzione sui contenuti non in primo piano, essendo condizionati,
evolutivamente, a mantenere il focus sulle proprietà quantitative dell’esperienza.
Al piccolo, al particolare secondario viene conferita,
appunto, una piccola e limitata importanza a cui eventualmente si bada solo
dopo aver soddisfatto il maggiore, l’evidente. Quelli che usano riguardare più
volte un film son certo che comprendono.
Cosa possa significare intervenire
sul flusso delle informazioni (saltando
qualche passaggio) lo illustro con un esempio personale.
Un giorno
scelsi un numero da inserire in un racconto. Pur se mi pareva d’averlo fatto a
caso, fui subito soddisfatto della scelta… senza sapermene spiegare il motivo
quel numero mi attraeva.
Man mano,
ora son dieci anni, quel numero ha iniziato a comparire sempre più spesso
(lasciandomi sempre più sbalordito) nella mia vita, tanto che oggi lo considero
il mio “ultimo numero” .
Per esempio
una volta un amico, incredulo sulla coincidenza, mi parlò delle tre bollette di
utenze diverse che doveva pagare… e tutte riportavano quale importo sempre quel
numero, che ignorava fosse “il mio”.
Se all’inizio
prendevo nota delle circostanze (quasi sempre insolite) in cui si manifestava, in
seguito ho smesso a causa dell’incremento non casuale, attraverso informazioni
o eventi, delle “visite”.
Sono
divenuto estremamente sensibile verso quel numero… tanto quanto esso lo sia
diventato nei miei riguardi (comprendo perfettamente che per i più la cosa sia
del tutto impossibile, a meno di fornire tangibili “prove” alla San Tommaso) e attualmente esso si
manifesta ogni notte con una modalità talmente incredibile che mi astengo dal
divulgare, per non passar per….
Lungi dal
poter comprendere il legame tra me (il lettore) e l’informazione (il numero) attendo
tranquillamente, stante la cessazione della divisione tra i due, il passaggio
successivo, se vi sarà.
Ritornando alla piramide di Khufu, il proverbio citato viene
di norma interpretato in funzione della solidità-straordinarietà della
costruzione, capace di resistere per millenni all’inevitabile invecchiamento
(fatto salvo sconvolgimenti tellurici-climatici estremi).
Ma perché il tempo, che ha dalla sua parte… tutto se stesso
sino all’eternità… dovrebbe temere la
lunga vita pietrificata delle piramidi? Che saranno mai per esso centomila o un milione d’anni ancora da
attendere affinché venga cancellata anche l’ultima meraviglia del passato?
Oppure la “paura” del
tempo potrebbe essere riferita a situazioni/eventi/luoghi
dove il suo abituale scorrere subisca un’accelerazione o un rallentamento?
Se il tempo non la facesse da padrone (l’ho definito il
“braccio armato” del destino) le cose nel nostro mondo – nella nostra vita –
potrebbero essere assai differenti.
La paura nasce dal confronto, su tutti quello esistenziale:
sono vivo e mi figuro (o percepisco) la mia finitezza.
Forse anche il tempo ha un avversario – l’altra faccia della medaglia, il non-tempo – che attende in luoghi e situazioni propizie di scendere
in campo, magari all’ultimo…
“Un uomo
che camminava per un campo s’imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato
dalla tigre. Giunto ad un precipizio, si afferrò alla radice di una vite
selvatica e si lasciò penzolare oltre l’orlo.
La tigre lo
fiutava dall’alto.
Tremando
l’uomo guardò giù, dove, in fondo all’abisso, un’altra tigre lo aspettava per
divorarlo.
Soltanto la
vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare
pian piano la vite.
L’uomo
scorse accanto a sé una bellissima fragola.
Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l’altro spiccò la fragola.
Com’era dolce!”
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