5) - Al di là dell'aldilà (L'INFINITO)
Era una bella sera d’inizio agosto (1), ieri sera, e ho potuto
rivedere il film “Il nome della rosa”, rimanendo nuovamente impressionato dal
meccanismo narrativo perfettamente trasposto nella versione cinematografica che
scivola via senza mai incepparsi, conducendo infine lo spettatore, a quel punto
abbastanza immedesimato nel personaggio di Adso da Melk, ad interrogarsi sulle
scelte (fondamentali) della propria vita e sul loro significato.
Un finale che in parte richiama quello tra Narciso e
Boccadoro, con quest’ultimo che compì una differente scelta da quella di Adso e
Narciso, senza mai pentirsene né aver dubbi, poiché da quella ottenne il
significato del suo vivere e l’accettazione della inevitabile conclusione (non
poca cosa).
Ma qual che siano le nostre direzioni potremmo concordare
con quanto Umberto Eco afferma (2):
In ogni epoca si
giunge a momenti in cui ci si accorge che "il passato ci condiziona, ci
sta addosso, ci ricatta".
Non solo nelle espressioni esterne, artistiche o meno, ma (a
maggior ragione) in quelle interiori, psicologiche. Salvo la morte, tutto si
può cambiare o almeno modificare significativamente ma il punto di partenza, l’adesso
che si mette all’opera per farlo, origina sempre dal passato e, disponendo di
una luce adeguata, se ne può evidenziare l’ombra.
Di fatto “siamo” il passato che, salvo un inevitabile tempo di latenza, agisce nel
presente.
No chance, direbbe U.G. , non se ne viene fuori… l’immaginario
personaggio che ripercorre (o percorre, che è uguale) la sua parte nella
narrazione che lo riguarda non potrà mai venir fuori da quella.
Il poeta Leopardi nell’Infinito riassume tutta la
condizione umana giungendo a toccarne il
limite… io nel pensier mi fingo… l’io-illusione (finzione) creata dal
pensiero.
Da quel punto la poesia scorre su due piani paralleli, su
due tempi differenti, quello umano ordinario dell’ io spaurito e nostalgico
e quello (Aion) che lo contiene (insieme a tutte le cose, passate, presenti e
future), con cui si confronta, ricevendone gocce di linfa eterna… che lo “annegano”…
Tale annegamento è
il denominatore delle due esperienze presentate nei post 3 e 4 di Al di
là dell’aldilà, la prima di O.R., relativamente frequente e la seconda (U.G.)
alquanto rara, per le modalità “fisiche” che ha richiesto per prodursi.
(1)
Umberto Eco ha
dichiarato che l'incipit del primo capitolo «Era una bella mattina di fine
novembre» è un riferimento al cliché «Era una notte buia e tempestosa», usato da Snoopy per l'inizio di ciascuno dei suoi
romanzi, e ideato da Edward Bulwer-Lytton nel 1830[8]. (Wiki)
(2)
Postille Nel 1983 Umberto Eco pubblicò,
attraverso la rivista Alfabeta, le Postille al Nome della rosa, un saggio col
quale l'autore spiega il percorso letterario che l'aveva portato alla stesura
del romanzo, fornendo chiarimenti su alcuni aspetti concettuali dell'opera.
Le Postille al Nome della rosa sono state poi allegate a tutte le
ristampe italiane del romanzo successive al 1983[8].
Nel paragrafo intitolato "Il Postmoderno,
l'ironia, il piacevole", Eco afferma che il "post-moderno è un
termine buono à tout faire". Inoltre, secondo l'autore, il
postmoderno è sempre più retrodatato: mentre prima questo termine si riferiva
solamente al contesto culturale degli ultimi vent'anni, oggi viene impiegato
anche per periodi precedenti. Tuttavia per Eco il post-moderno non è "una
tendenza circoscrivibile cronologicamente, ma una categoria spirituale,
un Kunstwollen, un modo di operare". "Potremmo dire che ogni
epoca ha il proprio post-moderno, così come ogni epoca avrebbe il proprio manierismo".
In ogni epoca si giunge a momenti in cui ci
si accorge che "il passato ci condiziona, ci sta addosso, ci
ricatta". All'inizio del Novecento, per questi motivi, l'avanguardia storica
cerca di opporsi al condizionamento del passato, distruggendolo e sfigurandolo.
Ma l'avanguardia non si ferma qui, procede fino all'annullamento dell'opera
stessa (il silenzio nella musica, la cornice vuota in pittura, le pagine
bianche in letteratura etc). Dopo ciò "l'avanguardia (il moderno) non può
più andare oltre". Dunque siamo costretti a riconoscere il passato e a
prenderlo con ironia, ma senza ingenuità. "La risposta post-moderna al
moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere
distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato:
con ironia, in modo non innocente". (Wiki).
…………….
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell' ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
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